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Filosofando

2007

<2007>

Voi guardate in su, quando aspirate ad elevarvi. Io, invece, guardo in giù; infatti, sono già elevato.

“Il nichilismo ci salva e protegge; smaschera falsi idoli, da cui pensavamo di trarre il nostro "valore". Non è la resurrezione di Dio che ci salvera dalle barbarie, oggi a noi offerte all'ora di pranzo guardando i vari TG, per metà fatti di notizie di cronaca.

A volte è comodo assumere pillole di saggezza dai grandi nomi della storia. Capita che pur leggendo in quantità sproporzionata su di un unico autore, esso diventi il nostro paladino di giustizia, o la nostra ancora nei momenti in cui i cattivi pensieri o le opressioni ci circondano,

È spesso con abuso che le nazioni si appropriano del termine "democrazia", convinte di appartenere a quei principi etici e morali costruiti già nell'antica Grecia.

Sono pienamente conscio che la mia realtà essendo limitata al mondo delle sensazioni, e alle mie esperienze non corrisponde alla visione di altri esseri che pur peccando di nichilismo credono di possedere lo scrigno magico contenente molte verità.

Seguire la passione per la lettura è dispensioso, ma gratificante. Scrivere comporta nel senso tradizionale di un libro; pensare il contenuto, scriverlo, pubblicarlo e infine venderlo. Così dei librai, fin quando esisteranno questi meravigliosi oggetti chiamati libri non si potrà fare a meno.

Non sempre le proprie conoscenze sulla filosofia possono ambire ad una comparazione con i grandi nomi della storia. Anzi per ampliare i propri orizzonti si accede a tutte le fonti possibili dei grandi maestri che il passato a nominato dei filosofi,

La dialettica è un tipo di metodo argomentativo nella filosofia. L'origine di questo metodo nella discussione di tesi filosofiche può essere ritrovato nei dialoghi platonici, dove Socrate cerca di trovare le contraddizioni interne nelle tesi dell'interlocutore. 

È definita come ben sappiamo dall'ambiente e dalla cultura, che determina sia i nostri costumi come anche le nostre credenze, superstizioni e morale.

Che cosa c'era prima? Prima del big bang o del "principio" biblico? La mitologia classica narra di un cosidetto "brodo primordiale", di oscurità e caos infinito.

(Oppure su come riflettere sul valore della lentezza)
Perchè è scomparso il piacere della lentezza, mi chiedo. Schiacciati dai ritmi frenetici della vita quotidiana, in cui non solo non troviamo il tempo per gli altri ma raramente per noi stessi.

Promotore di queste tesi sul principio pratico e non morale dell'esistenza fu "Georg Wilhem Friedrich Hegel" (1770 - 1831). Durante l'epoca Napoleonica, il congresso di Vienna sopratutto in Germania si afferma L'Età dell'idealismo.

Follie su Nietzsche

28/12/2007

Dall'editoriale del 27 dicembre leggo (piacevolmente sorpreso) sul vostro settimanale "commerciale" una citazione, con relativa interpretazione del mio autore preferito per eccellenza; Friedrich Nietzsche. La convinzione nietzschiana secondo cui Dio e l'oltre-mondo abbiano storicamente rappresentato una fuga dalla vita ed una rivolta contro questo mondo. 

Credo che difficilmente vedrò pubblicato questo mio commento dato che da diversi mesi ormai, le mie riflessioni non trovano più spazio nel vostro giornale (?). Comunque non è di me che vorrei trattare, in quanto pur essendo un semplice lettore e non essendo onorevole o presidente, ritengo questa mia replica sia ugualmente degna di rispetto e attenzione. La mia intenzione è un dialogo con l'autrice su dei temi da lei coraggiosamente presentati, e di questo le sono molto grato. La pubblicazione è secondaria e sarebbe interpretata erroneamente, da coloro che non conoscono il genio del filosofo. Anzi come in passato ogni sua affermazione verrebbe rubata per scopi personali.

La sua citazione richiama acutamente l’aforisma 125 di La Gaia Scienza. Le parole dell’uomo folle “Cerco Dio! Cerco Dio!”, gridate senza posa nel mercato, vengono accolte dal riso “poiché proprio lì si trovavano radunati molti di quelli che non credevano in Dio”. Il nichilismo non è "introdotto" nel mercato né da singoli uomini né da potenze oggettive: il mercato è nichilistico come tale, poiché il produrre e lo scambiare, frantumando il mondo nella molteplicità di "merci" e assumendo l’uomo a portatore di funzioni, non offrono alcun senso complessivo. Il produrre e lo scambiare non si fermano dinanzi a nulla (vedi il capitalismo o imperialismo). Il diritto esprime un’altra forma di volontà, di cui il mercato non può fare a meno, e perciò capace di imporre ad esso un ‘ordine’: non un ordine assoluto e immutevole, ma l’ordine stabilito dalle volontà più forti.

“Il nichilismo ci salva e protegge; smaschera falsi idoli, da cui pensavamo di trarre il nostro "valore". Non è la resurrezione di Dio che ci salvera dalle barbarie, oggi a noi offerte all'ora di pranzo guardando i vari TG, per metà fatti di notizie di cronaca. Siamo noi addormentati dallo stupore gioioso che ogni bambino ha in sè dalla nascita, che non vediamo oltre il muro dell'ipocresia.

In proposito Nietzsche rammenta:

Zarathustra è cambiato, Zarathustra è divenuto un bambino, Zarathustra si è svegliato: cosa vuoi tu fare con gli addormentati? Come in mezzo al mare tu vivevi in solitudine, e il mare ti portava sul suo seno. Ahimè, ora vuoi tu scendere a terra? Vuoi tu trascinare il tuo corpo da te stesso?" Zarathustra rispose: "Io amo gli uomini." Ma ora io amo Dio disse il santo: non amo più gli uomini. L'uomo è cosa troppo imperfetta per me. L'amore degli uomini mi ucciderebbe." Zarathustra rispose: "Ma io non parlavo d'amore! Io porto un regalo agli uomini." [...] I nostri passi risuonano troppo solitari per le vie. E come quando di notte, stando nei loro letti, sentono un uomo camminare assai prima che il sole sorga, certamente si domandano: dove va quel ladro? Non recarti tra gli uomini! Rimani nella foresta! A questo punto Zarathustra salutò il santo e disse: "Che cosa posso darvi? Lasciatemi andare, piuttosto, prima che vi tolga qualcosa!" Così si separarono l'uno dall'altro, il vecchio e l'uomo, sorridendo come sorridono due fanciulli. Ma quando Zarathustra fu solo, così parlò al suo cuore: "E mai possibile? Questo vecchio santo nella sua foresta non sa ancora che Dio è morto."

Con garbo e senza nessun minimo rancore (non ne avrei motivo non conoscendo personalmente l'autrice), la motivazione che mi spinge a scrivervi sotto la rubbrica "Scrive chi legge", è per amore "intellettuale" che nutro per Nietzsche. Lui non merita che si sfrutti la sua profondità di pensiero per delle generiche riflessioni di fine anno, come già in passato con conseguenze ben più tragiche è stato fatto!

Per migliorarci non invochiamo forze ultraterrene vi prego, ma invochiamo la fiducia in se stessi, l'affermazione della vita intramondana, l'amore del fato e l'idea di un uomo oltre l'uomo. Nietzsche ha sempre criticato la passiva accettazione della morale cristiana, non la sua affermazione tantomeno la resurrezione di Dio. Il senso della mia riflessione si basa sulla negazione di falsi idoli, e lo stesso mercato, quando sia inteso come luogo di ‘libertà’, e non come una tra le forme della volontà di potenza. La concezione di un cosmo ordinato, razionale, governato da scopi ben precisi e retto da un Dio provvidente, è soltanto una costruzione della nostra mente, per poter sopportare la durezza dell'esistenza. « il carattere complessivo del mondo è il caos per tutta l'eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, di articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane » (La gaia scienza, V, 2, p. 115). La citazione segue: Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io, Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?

per concludere: Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!". A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. 'Tengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!".

Io aggiungo che che Nietzsche, parlando dei cristianesimo come di « un'antichità emergente da epoche remotissime » scrive significativamente: « Quando in una mattina di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio ». Cosa dire dell'accostamento dei fatti di cronaca italiani con la morte di Dio interpretata dal Filosofo? È fuori luogo in quanto il significato stesso di tale affermazione a come soluzione positiva la negazione di tale resurrezione per avere più chiaro il nostro essere e universo. 

Leasing di Saggezza

07/12/2007

A volte è comodo assumere pillole di saggezza dai grandi nomi della storia. Capita che pur leggendo in quantità sproporzionata su di un unico autore, esso diventi il nostro paladino di giustizia, o la nostra ancora nei momenti in cui i cattivi pensieri o le opressioni ci circondano, in un gioco ripetitivo quasi perverso. Assumiamo un pensiero o aforisma, con la stessa aspettativa di un medicinale che dovrà guarirci dal male che ci opprime. Si potrebbe obiettare se questo atteggiamento sia abberrante, in quanto è dal nostro profondo che devono nascere le idee per uscire dalle interperie che la vita a volte lascia venire a noi. Cosa vi è di male nel (ri)vivere le esperienze già vissute ed interpretate da altri? Ma questi personaggi donatori di benessere spirituale in fondo mi chiedo erano poi ciò che predicavano. Le loro dottrine corrispondevano al loro agire? Leggendo le loro bigrafie spesso erano esseri che facevano della loro solitudine la loro migliore compagna, e come per un viandante che seguito dalla sua ombra, esclamava: Uno è di troppo! Passando per arroganti o presuntuosi, questi saggi della storia trovavano rifugio dall'incomprensione altrui, creando opere a volte favolose e spesso mostruosamente ricche di verità e riflessive. Mi riferisco in particolare modo ai filosofi del passato, che oggi vengono catalogati più che dalla loro personalità, dall'epoca in cui essi proclamavano le loro visioni. Da cosa nasceva quella ferve creativa, ed'ispirazione improntata sulla loro osservazione e poi interpretazione delle cose del/sul mondo? Spesso e volentieri le loro ispirazioni erano dei seguiti o eredità di altri pensatori, compatibili con la loro vocazione. Altre volte seguivano una corrente inversa e sforzandosi di creare essi stessi una nuova formula risolutiva al problema posto dal pensatore che lo aveva preceduto. Erano delle correnti di pensiero in lotta tra loro, e il risultato o pericolo era di perdere di vista la propria vocazione iniziale. Il più delle volte ci si adattava esprimendo concetti in genere non troppo provocatori o censurabili al comune pensare di quell'epoca. Nel caso di pensatori coraggiosi e rivoluzonari o in anticipo sui tempi, le conseguenze venivano pagate con persecuzioni o adirittuara l'esilio e la morte fisica. È il caso dei vari Bruno Giordano, Galileo Galilei ed'altri meno famosi. Per non parlare nella nostra epoca moderna a seguito degli ultimi conflitti mondiali, di tutti quei intellettuali che hanno pagato con la vita il solo fatto di esprimere idee contrarie al regime in corso. Oggi la situazione è oltremodo cambiata per vari fattori. Essenziale è stata la trasformazione dalla mentalità medioevale, ascetica a quella moderna, attiva e mondana. Ciò che interessa all'uomo moderno, è questo mondo, è questa vita: non più segno di Altro, non più breve passaggio e prova, ma dimora in cui sistemarsi nel modo più comodo. Qui sta la motivazione che spinge gli alchimisti e i maghi prima, gli scienziati poi, a sviluppare delle conoscenze che consentano appunto di vivere meglio (materialmente) in questo mondo, dominandolo tecnicamente. Questo è infatti il fine della scienza moderna, il dominio sulla natura. Quale leasing oltre al tradizionale per l'acquisto di beni materiali, è disponibile, essendo anche la filosofia dettata più che dall'istinto, dai metodi scentifici? D'altro lato, non la scienza e la tecnica, ma l'uso che della scienza e della tecnica è stato spesso fatto va visto come parzialmente negativo. Come dare tutte le mie aspettative alla tecnologia? Può un'oggetto per quanto sia utile sostituire le relazioni uname? In definitiva non sono tanto i consigli saggi del guru di turno a placare le mie ansie, ma un sano rapporto a tutti i livelli. Lavorativi, di amicizia e famigliari. E credo che il punto doloso di molte vite infelici o famiglie separate sia proprio la perdita di questi valori insostituibili. Il sapere scientifico è usato come esaustivo di tutta la conoscenza, alternativo e non complementare al sapere filosofico-teologico: e questo non è positivo. Parallelamente la tecnica è stata usata come strumento non solo di un dominio (rispettoso e armonico) ma di un devastante sfruttamento della natura. E anche questo, come molti ormai pensano, è talmente negativo da mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza dell'uomo sulla Terra. 

La giusta democrazia

16/10/2007

È spesso con abuso che le nazioni si appropriano del termine "democrazia", convinte di appartenere a quei principi etici e morali costruiti già nell'antica Grecia. Il Termine di derivazione greca (demos, 'popolo', e kratein, 'potere') che indica un sistema politico basato sulla sovranità dei cittadini, ai quali è riconosciuto il diritto di scegliere la forma di governo e di eleggere direttamente o indirettamente i membri del supremo corpo legislativo dello stato, così come i funzionari addetti all'amministrazione locale, nonché, in alcuni casi, anche il capo dello stato.

La democrazia nell'età classica in cui le città-stato greche e Roma antica durante i primi anni della repubblica furono democrazie dirette: nelle assemblee pubbliche si radunavano tutti i cittadini (a esclusione degli schiavi e delle donne) con diritto di parola e di voto. Ciò era possibile a causa delle piccole dimensioni delle città-stato. Tuttavia la fragilità di questa forma politica, che tendeva a degenerare nella tirannia o nel governo oligarchico, condusse i filosofi dell'epoca a dare una caratterizzazione non positiva della democrazia. Nella tipologia delle forme di governo di Aristotele, che distingue tre forme 'pure' e tre forme 'corrotte', la forma pura è chiamata politia, ed è definita come 'governo della maggioranza' o 'della moltitudine'; la forma corrotta è chiamata democrazia, ed è definita 'governo a vantaggio dei poveri'. Nella tripartizione aristotelica il principio democratico viene interpretato come la legittimazione di un governo di parte; per molti versi la distinzione manterrà questo significato sino ai filosofi ottocenteschi che riprenderanno la tipologia di Aristotele (per esempio Kant e Hegel).

Nella Roma repubblicana e imperiale furono invece poste le basi della democrazia nell'accezione moderna del termine. Furono i giuristi (Ulpiano, Giuliano) a sostenere che l'autorità dell'imperatore si basava sull'investitura del popolo e che il popolo stesso era da considerare creatore del diritto, sia mediante il voto sia mediante la consuetudine. In entrambi i casi, era evidente che la fonte del potere politico stava nel popolo, il quale, pur delegandolo nelle forme più diverse, ne restava il titolare ultimo.

Il Medioevo e l'età moderna

Un notevole influsso sullo sviluppo della teoria democratica fu esercitato anche dalla religione cristiana, che poneva l'accento sui diritti dei più deboli e sul principio dell'eguaglianza. Nel Medioevo furono comunque l'esperienza comunale in Italia, nelle Fiandre e nelle aree tedesche e la lotta alla teocrazia papale a dare vitalità al modello democratico. Un contributo importante alla diffusione del modello democratico fu dato dalla Riforma protestante, che adottò in genere il congregazionalismo, secondo cui il potere nella congregazione spetta all'insieme del popolo, che lo esercita direttamente oppure secondo i meccanismi di elezione e delega. Queste idee divennero la base delle successive rivendicazioni della sovranità popolare in chiave antiautocratica. Per esempio John Locke fondò sul principio la sua versione del governo rappresentativo basato su un contratto stretto tra principe e popolo, in cui al popolo restava la possibilità di ritirare la delega al sovrano; le elaborazioni di Locke si presentavano quindi come una giustificazione del diritto alla resistenza e una legittimazione delle rivoluzioni popolari.

L'ascesa delle repubbliche democratiche

Tra il Seicento e l'Ottocento le rivoluzioni contro i regimi autocratici sfociarono spesso nell'adozione della forma repubblicana. In molti casi il riferimento degli apologeti della repubblica era il modello aristocratico di stampo autoritario che veniva praticato a Venezia o a Lucca. In altri casi il riferimento erano le città-stato riformate come Ginevra, in cui si teorizzava il ricorso alla democrazia diretta. Molto spesso le utopie repubblicane avevano una forte componente di egualitarismo democratico. Jean-Jacques Rousseau sostenne che solo un governo repubblicano, adottato in uno stato dalle piccole dimensioni dove fosse possibile la gestione diretta del potere da parte del popolo, era compatibile con i valori democratici. A suo parere solo in un contesto simile avrebbe potuto prender corpo quella volontà generale, infallibile e indivisibile, attraverso la quale il popolo sarebbe stato in grado di esercitare il potere di fare le leggi, assicurando la partecipazione al processo a tutti i cittadini. Fu però l'esperimento repubblicano degli Stati Uniti a diffondere l'ideale di una repubblica democratica basata sull'applicazione del principio del suffragio universale (esclusi gli schiavi, le donne, i minori).

La democrazia tra liberalismo e socialismo

Nel corso dell'Ottocento liberali e socialisti discussero con accanimento della natura della democrazia. Secondo i primi – particolarmente interessati al tema si rivelarono Benjamin Constant, John Stuart Mill e Alexis de Tocqueville – la democrazia diretta era per molti versi incompatibile con le libertà civili (di pensiero, d'associazione, di stampa ecc.) che solo uno stato liberale poteva garantire; la democrazia rappresentativa, che evitava il pronunciamento diretto della popolazione e quindi i pericoli insiti nella 'tirannia della maggioranza', era invece intesa come il frutto dell'ampliamento della libertà politica, che si allargava sino a comprendere tutti i cittadini dello stato. Per i liberali l'enfasi non cadeva sulla semplice partecipazione ma sulla natura della stessa, che veniva anch'essa interpretata come l'espressione di una specifica libertà. In quanto ai socialisti, essi fondarono la loro versione della democrazia sulla critica della rappresentanza, che implicava la sola libertà politica; il loro programma puntava a una trasformazione sociale ed economica della società ottenibile unicamente con l'applicazione delle regole della democrazia diretta non solo agli organi politici, ma anche a quelli economici.

La Comune di Parigi spinse molti – tra cui Karl Marx, Lenin, Rosa Luxemburg – a teorizzare una 'democrazia dei consigli', in cui libere associazioni di operai avrebbero preso decisioni a maggioranza riguardanti le stesse attività produttive, mentre sul piano amministrativo sarebbero stati eletti rappresentanti con mandato limitato e soggetti a revoca immediata.

Gli sviluppi successivi hanno segnato prima una crisi dello stato liberale – messo in discussione dall'avanzata dei totalitarismi e dai successi del socialismo reale – poi, dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto dopo il tracollo dei regimi comunisti dei paesi dell'Est europeo, la vittoria della democrazia liberale, adottata, almeno formalmente, dalla maggioranza degli stati esistenti nell'ultimo scorcio del XX secolo.

La mia interpretazione

In questa panoramica sulla storia della democrazia (tratto da alcune letture di storia), è evidente come vi sia stato uno sviluppo segnato sia dai tempi come anche dalle risorse che il corso della storia ha progressivamente imposto. Oggi nei nostri stati progrediti e convertitesi al liberalismo (a volte mascherato di diversi colori e schieramenti), il capitale ne è padrone, e noi popolo sovrano ne siamo succubi, anzi attratti. Si è perduto per strada nel corso dei secoli il senso e l'insegnamento dato dai padri che nel corso del nostro percorso umano hanno tentato di "immaginarsi" una società non dico giusta ma il più possibile vicina ad essa. 

Debito di coscienza

12/10/2007

Sono pienamente conscio che la mia realtà essendo limitata al mondo delle sensazioni, e alle mie esperienze non corrisponde alla visione di altri esseri che pur peccando di nichilismo credono di possedere lo scrigno magico contenente molte verità. Nonostante questa considerazione introduttiva le mie idee esistono o per dirla in una formula cartesiana "cogito ergo sum". Da questa base di pensiero appunto la visione delle cose, noi spiriti che ci reputiamo liberi siamo giornalmente condizionati, sia dall'ambiente e ancor più dalle persone che lo formano. Vorremmo essere noi stessi ma allo stesso tempo come gli altri vorrebbereo vederci, sia per la costante ricerca di approvazione come la ricerca di quell'autostima che (aimè) cerchiamo negli altri. D'altronde veniamo cresciuti nelle migliori condizioni allenati sia dai genitori ma sopratutto dalla televisione e tutti glia altri mezzi disponibili rei di diffondere nelle nostri menti visioni di persone felici perchè in possesso di bellezza, cose, forza virile e sicurezza che noi per non essere troppo in debito con la nostra coscienza, ciecamente aproviamo e anzi desideriamo. Così agendo ci allontaniamo sempre più dalla nostra primordiale natura, così meno esigente ma profondamente più autentica nelle sue richieste che parlano di spazi liberi scelti da noi, attività dettate dale nostre esigenze fisiologiche e spirituali. Allontanandoci sempre più da queste nostre interiori necessità, perdiamo i veri scopi che ci conducono alla felicità. Nessuna sensazione è più forte di quella dettata dai sentimenti provati durante l'innamoramento, o alla nascita del proprio figlio. Anche le perdite di care persone fanno parte delle sensazioni e realtà vissute da prima pagina nel nostro quotidiano. Sento a volte astio dalle persone povere di nobiltà e amore, che inconsciamente evitano il contatto ravvicinato con me, onde evitare lo svelarsi della loro nevrotica e superficiale vita. È fatta di molti bocconi amari l'interiorizzarsi di se stessi, sopratutto quando si scoprono sempre più i mecchanismi che portano l'agire delle persone (o il non agire). Per non sembrare mai troppo sicuro, non delle mie convinzioni che metto ogni giorno in discussione, ma del mio apparire, io cerco la socialità con il prossimo adattando il mio modo di apparire consone alle aspettative altrui. Ma non mi riesce a quanto pare molto bene, avendo praticamente solo interlocutori adatti alle varie circostanze che si presentano nel corso della giornata e vita. Un vero amico ( a parte il mio fraterno amico Piero) non lo possiedo, e ciò più che colmarmi di tetraggine mi stimola nella ricerca di elevare sempre di più le mie ricerche intellettuali. Il mio amico migliore sarà così il mio viandante che incessantemente, vagherà nelle meandre del pensiero più sublime. Per esprimere meglio questo mio credito verso gli altri, pena l'esilio dal prossimo citerò un'aforsimo che sintetizza meglio questo mio pensiero. Chi sa di essere profondo, si sforza di esser chiaro. Chi vuole apparire profondo alla folla, si sforza di esser oscuro. Infatti la folla ritiene profondo tutto quel di cui non riesce a vedere il fondo: è tanto timorosa e scende tanto mal volentieri nell'acqua! (Friedrich W. Nietzsche)  


La cultura globalizzata

15/08/2007

Seguire la passione per la lettura è dispensioso, ma gratificante. Scrivere comporta nel senso tradizionale di un libro; pensare il contenuto, scriverlo, pubblicarlo e infine venderlo. Così dei librai, fin quando esisteranno questi meravigliosi oggetti chiamati libri non si potrà fare a meno. Per quanto oggi attraverso un paio di click elettronici e un numero di carta di credito, si accede a molta cultura scritta nel passato il libro è qualcosa di diverso. I librai svolgono a differenza del comune navigare nella rete una delicata funzione di mediatore culturale (quelli bravi). Esse le librerie rappresentano un ricchezza straordinaria, finendo per svolgere una funzione sociale, cosa che nessun centro commerciale o il web potrà mai compensare. Ma aimè anche nel mondo della cultura si è abbattuto come una frusta tramite la decisione del consiglio federale di abolire il cosiddetto "Sammelrevers". L'accordo tra editoriali e librai che, in pratica, garantiva nella Svizzera tedesca il prezzo unico del libro. Nella Svizzera romanda dove già questa liberalizzazione è avvenuta con la conseguente guerra dei prezzi, essa provocherà una destabilizzazione del mercato e la chiusura di numerose piccole librerie indipendenti a vantaggio dei grandi centri di distribuzione. Senza parlare del già temuto aumento dell'Iva. Così anche la lettura di libri come uno degli ultimi superstiti culturali, farà spazio alle leggi del mercato globale. A parte i bestseller che dato l'alto volume di vendita abbassino i prezzi, altri libri d'autore o comunque importanti aumentano i prezzi, orientando l'ex lettore verso altre forme di acquisire la cosiddetta "cultura". Lettura come passatempo allo stesso livello di uscite per il fine settimana, o della valanga di musica e film offerti come beni di consumo rapido. Ricordo con nostalgia ogni singolo libro letto anche per oltre un'anno che ha lasciato tracce profonde nella mia vita. Seguo tuttavia questa sana attività di affamato di libri ovviamente percorrendo il mio gusto e interesse. Ritengo la lettura il migliore "passatempo" immaginabile dopo i rapporti umani, e osservo rassegnato al deserto intorno a me. Non conosco nessuno nel mio quotidiano con la mia stessa passione. Per incontrarmi con persona della mia specie in via d'estinzione frequento qualche libreria o navigo nel web. Uno degli aspetti più evidenti del fenomeno della globalizzazione è la diffusione di modelli culturali, di comportamento, di mode, abitudini di vita, linguaggi ... in tutte le parti del mondo. Favorito dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. La Tv, presente anche nelle favelas e nei quartieri di baracche del mondo sottosviluppato ed ora Internet, che favorisce e accelera il processo di informazione e comunicazione. Così quasi tutti conoscono la Coca cola, vedono le stesse trasmissioni, tendono a comportarsi nello stesso modo, perché imitano gli stessi modelli, in genere prodotti in occidente ed in particolare negli USA. Non posso fare a meno di toccare gli stessi tasti dolenti come Il cosiddetto villaggio globale, metafora di origine USA, che rappresenta opportunità di comunicazione, relazione, sviluppo, ma anche tutta una serie di conseguenze negative. La globalizzazione che non è una brutta parola o una medicina per noi uomini, dovrà tramite la cultura diffondere le opere che hanno più influenzato le culture passate e presenti. “Gli scrittori amati cesseranno di essere stranieri, nati in Oriente o in Occidente. Essi rimangono amati perché sono sostanziali, portatori di un’umanità che va oltre. Essi non sono più una cultura, la oltrepassano e diventano così ecumenici”. Nell’epoca dei managers che dettano legge nel mercato della letteratura, il compito dello scrittore e di noi lettori torna ad essere quello antico: l’insistenza e il relativo approfondimento sui fatti umani che si verificano anche nel più ignoto ed insignificante angolo del pianeta e la passione e la cura per la propria lingua. Quello di "sentirsi a casa nel mondo" è il vecchio sogno del cosmopolitismo illuministico. Oggi ci sentiamo parte del villaggio globale tramite la cultura della technologia esasperata, e di usanze dettate dall'industria e dalle lobby.

Per dare un'idea di ciò che intendo come attività' positive quali il rispetto di ogni forma di vita, dare e condividere, lo sviluppo della propria capacità' di amare e di pensare in maniera critica, lo sviluppo della propria fantasia ed'altre capacità che a mio avviso un cultura meno materiale e illusionista, può nascere attraverso la conoscenza oltre che del presente con i suoi complessi sistemi, anche e sopratutto della conoscenza umanistica ormai in lento degrado. Basta ascoltare il linguaggio delle nuove generazioni per rendersi conto che l'influenza dei media moderni ha indelebilmente tracciato, togliendo ogni interesse per lo studio e l'impegno (generalizzo), per lasciare spazio al facile guadagno con il minimo sforzo. Il piacere accompagnato da delusione, consumo, tossicomanie producono un mondo degradato. La gioia come processo del divenire che si manifesta nell'attività, movimento, esperienza, mutamento producono un mondo migliore.

Il mio Cammino I

22/06/2007

Non sempre le proprie conoscenze sulla filosofia possono ambire ad una comparazione con i grandi nomi della storia. Anzi per ampliare i propri orizzonti si accede a tutte le fonti possibili dei grandi maestri che il passato a nominato dei filosofi, sia per loro idee rivoluzionarie o spesso per il proseguito di idee di pensiero già enunciato da altri. Vi sono tre epoche che contraddistinguono la storia della filosofia. Nella prima chiamata "Filosofia Antica e Medioevale" si parte dal pensiero greco che tratta sulla conoscenza dell'essere, del numero e sull'episteme termine che indica la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire. I nomi più famosi di filosofi accertati per la filosofia antica sono:
Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Cratilo, Orfismo, Pitagorici, Archita, Alcmeone, Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Anassogora, Empedocle, Diogene, Leucippo, Democrito, Ippocrate, Megarici, Protagora, Gorgia, Antifonte, Trasimaco, Crizia, Ippia, Prodico, Socrate, Fedone, Platone, Antistene, Aristotele, Senocrate, Speusippo.
Il periodo della filosofia antica e medioevale va dal VI AC al VI DC secolo. Esso comprende oltre ai filosofi greci due grandi filoni di personaggi categorizzati in due gruppi:
Filosofia Latina che mira ad una compenetrazione del pensiero greco con la cultura romana. Esponenti maggiori della filosofia latina sono: Cicerone, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio.
e la Filosofia Medievale. In Europa, la diffusione del Cristianesimo all'interno dell'impero romano segnò la fine della filosofia ellenistica e l'inizio della Patristica, dalla quale si svilupperà la filosofia medievale.
La filosofia medievale costituisce un imponente ripensamento dell'intera tradizione classica sotto la spinta delle domande poste dai tre grandi religioni monoteiste. I nomi più importanti di questo periodo sono Avicenna e Averroè in ambito islamico, Mosè Maimonide in ambito ebraico, Pietro Abelardo, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto in ambito cristiano.
Filosoficamente, il medioevo si caratterizza per una grande fiducia nella ragione umana, che si esprime nella corrente della scolastica, il cui maggior esponente è Tommaso d'Aquino. La crisi di questa corrente filosofica, con autori come Duns Scoto e soprattutto Guglielmo di Ockham, segnata da un crollo di fiducia nella ragione e da un conseguente crescente fideismo, portò alla fine del pensiero medioevale ed alla nascita del pensiero moderno. Fu inoltre nel Medioevo che prese piede la cosiddetta disputa sugli universali. Gli universali trattano del problema della relazione tra linguaggio e realtà, tra le parole e le cose , tra il pensiero e l'essere. La filosofia moderna inizia come già detto con il perido rinascimentale. L'Umanesimo (secolo XV ca.) e la sua rivalutazione dell'uomo e della sua esperienza terrena. Kant fù il pensatore che aprì la strada al Romanticismo e in seguito alla filosofia Contemporanea. L'illuminismo spinge ad un relativismo che per molti aspetti preannuncia quello che caratterizzerà il Positivismo fino ad arrivare ai nostri giorni. La scienza in continua evoluzione, si staccherà dai sistemi e dalle visioni trascendenti, rivolgendosi sempre più ad indagare sulla natura tramite la matematica. Grazie alle ricerche dei filosofi rinascimentali prima, e poi degli scienziati e pensatori come Copernico, Gllileo, Cartesio, Bacone e Newton. Un'altro tema centrale è la politica che si sviluppa nella sua riflessione di carattere occidentale. Da Macchiavelli, dalle proposte monarchiche e assolutiste di Hobbes, alla prima idea "liberale" di Locke e poi degli Illuministi come Montesquieu e Rousseau. La metafisica perde poco a poco interesse sul pensiero filosofico. Kant la definì come l'ultima vocazione dell'essere umano. È con questa nostalgia di Assoluto che si aprirà il Romanticismo. Movimento artistico, culturale e letterario sviluppatosi in Germania e in Inghilterra al termine del XVIII secolo e poi diffusosi in tutta Europa. Il termine "romanticismo" viene dall'inglese romantic che rappresentava in modo dispregiativo i romanzi. Avendo riassunto in modo grossolano tramite le mie modeste letture la storia dell'amore per la conoscenza come i greci definirono la parola "Filosofia", sono tante le ricette da proporre, le strade da seguire e sopratutto il pensiero appropriato definito come il più consone alla propria realtà. Il concetto di storia della filosofia è giovane e arbitrario. In quanto si limita in primo luogo alle filosofie occidentali, e secondo l'indagine sul concetto di storia è soggetto alla nostra visione contemporanea sul mondo dei pensieri. Comunque per avere una visione non delle verità più credibili, ma dei pensatori più importanti che il genere umano ha riconosciuto come tali è d'obbligo uno studio approfondito da compiere seguendo due metodi. La forma accademica che consiste nel conseguimento di una laurea in Filosofia.
Essa si articola intorno a quattro grandi aree:
- il produrre tecnico e quello artistico (filosofia della tecnica, estetica, economia);
- il ricercare scientifico sulla natura, sull’uomo e sul linguaggio (la ricerca del vero, il "conosci te stesso" e l’indagine sulla natura della mente e delle funzioni cognitive) ;
- l’agire morale e quello politico (la ricerca sul rapporto fra diritto e giustizia, fra bene individuale e bene comune);
- l’interrogare circa i fondamenti del pensiero e del reale (logica, metafisica e teologia)
Il possesso di una solida conoscenza della storia del pensiero filosofico e scientifico dall'antichità ai nostri giorni e di un'ampia informazione sul dibattito attuale nei diversi ambiti della ricerca filosofica, può essere sufficente per accreditarsi il titolo di filosofo? Non credo, dato che è necessaria la padronanza della terminologia e dei metodi riguardanti l'analisi dei problemi, le modalità argomentative, l'approccio ai testi (anche in lingua originale); la padronanza dell'uso degli strumenti bibliografici. Lo scopo minimo sarebbe di essere in grado di fare una ricerca e di scrivere una relazione chiara, in qualunque campo, distinguendo i concetti fondamentali dagli altri e ragionando in maniera corretta?
Se inoltre come spesso mi capita mi domando quale è l’origine delle scienze e della tecnologia moderne e delle loro grandi scoperte, dovrei dedurne che il mio interesse per una riflessione filosofica sull’uomo e la sua storia, sulle ragioni dell’agire individuale e collettivo e sulle diverse forme che tale riflessione ha assunto nel corso della storia del pensiero filosofico, è vivo e assetato di risposte. Bene, la filosofia può aiutarmi in tutto questo, anche se non l’ho mai studiata sinora (a parte i numerosi libri letti). Anche molte altre letture e riflessioni in effetti, la psicologia, le scienze matematiche e fisiche, le scienze cognitive, e con loro tanti campi di ricerca contemporanei, hanno avuto origine dalla filosofia. Percui alla fine le mie letture diversificate riconducono alla filosofia. Altre ragioni che conducono a questo studio e la constatazione che la letteratura e la riflessione sulle arti si sono nutrite di idee filosofiche e continuano a farlo, specialmente la musica. Ma anche lo studio dei simboli che si incontrano nelle opere d’arte, l’iconologia, richiede competenze filosofiche. La filosofia è poi la materia che meglio di ogni altra può abituare al ragionamento logico e critico e a distinguere le argomentazioni buone da quelle cattive, le idee fondamentali da quelle di importanza secondaria, rendendoti capace di sintesi. Essa è nata proprio a questo scopo. Ed è una pratica utilissima alla ricerca in ogni campo, non solo umanistico. Non avendo in ultima analisi ne il tempo materiale ne le risorse economiche ho escogitato le seguenti strategie per giungere in forma autodidatta o perlomeno avvicinarmi agli stessi risultati: Seguire la lettura sulla filosofia moderna, seguendo secondo il mio interesse l'epoca sia dell'illuminismo e del positivismo. L'iiluminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Montesquieu ne è uno dei più autorevoli rappresentanti, affermando che l'illuminismo mira a liberare l'uomo dai suoi vincoli e pregiudizi imposti dalla tradizione e dalla morale in particolare modo dalla chiesa. E così via per passare all'epoca dell'empirismo di Locke che sosteneva che la conoscenza umana trae tutto il suo materiale dall'esperienza. Berkley anticipa l'idealismo hegeliano, soffermandosi su come l'essere delle cose consiste nel loro essere percepite. "Esse est percepi". L'empirismo nega che gli esseri umani abbiano idee innate o che qualcosa sia conoscibile a prescindere dall'esperienza. In contrasto con i razionalisti della quale fanno parte Cartesio che estese la concezione razionalistica e matematizzante della conoscenza. Il suo pensiero considerato come fondamentale nella fondazione della filosofia moderna si esprime cosi: « Volendo seriamente ricercare la verità delle cose, non si deve scegliere una scienza particolare, infatti esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l'una dall'altra. Si deve piuttosto pensare soltanto ad aumentare il lume naturale della ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà di scuola, ma perché in ogni circostanza della vita l'intelletto indichi alla volontà ciò che si debba scegliere; e ben presto ci si meraviglierà di aver fatto progressi di gran lunga maggiori di coloro che si interessano alle cose particolari e di aver ottenuto non soltanto le stesse cose da altri desiderate, ma anche più profonde di quanto essi stessi possano attendersi » (Cartesio da "Discorso sul metodo).
Ho voluto espressamente presentare una breve panoramica sui vari pensatori, senza dare un giudizio definitivo in quanto non sarebbe metodicamente saggio farlo. Lo sviluppo segue un solco diviso a secondo di ciò che si vuole esprimere. Secondo la scienza matematica non bisogna fare affidamento ai propri sensi, ritienendo che i pensieri di cui possiamo essere certi sono evidenze primarie alla ragione. Tutto ciò è in contrasto con l'empirismo che ha come sua dottrina la convinzione che la conoscenza umana deriva in primo luogo dai sensi e dall'esperienza. Come ultima riflessione mi chiedo se è meglio per il mio sviluppo personale affidarmi alle mie sensazioni interne o esterne nel giudicare la veridicità della realtà, oppure affidare all'empirismo del tipo aristoteliano che non teneva conto dei progressi scientifici avvenuti nel corso del tempo? È semplice scrittura da passatempo la mia esposta nel "mio cammino", o riuscirei a trarne un filo conduttore che con vigore e fertile motivazione mi indichi una strada da seguire. La felicità sarebbe maggiore se il mio vagare pseudo filosofico possa evitare l'uso moderno del termine "razionalismo", che indica la convinzione che i comportamenti e le credenze dell'uomo dovrebbero basarsi sulla ragione piuttosto che sulla base della fede e dei dogmi religiosi.Dare una forma al proprio pensiero significa scoprire il significato della propria vita e del proprio destino. Se ciò mi condurrà ad accrescere la mia autostima ben venga. Per quanto riguarda "i lettori" mi pronuncio con una citazione appropriata di Nietzsche: « un paio di lettori, di cui si nutra stima, altrimenti nessun lettore ».

la dialettica

17/05/2007

La dialettica è un tipo di metodo argomentativo nella filosofia. L'origine di questo metodo nella discussione di tesi filosofiche può essere ritrovato nei dialoghi platonici, dove Socrate cerca di trovare le contraddizioni interne nelle tesi dell'interlocutore. (dialéghesthai, da cui la parola 'dialettica', significava in greco antico 'discutere', 'dialogare')

Ad esempio, nell'Eutifrone, Socrate chiede ad Eutifrone di dare una definizione di pietà. Eutifrone risponde che pio è ciò che è amato dagli Dei. Socrate però gli rinfaccia che gli dei sono litigiosi, e che i loro litigi, come quelli umani, riguardano gli oggetti di amore ed odio. Eutifrone ammette che questo è infatti il caso. Perciò, prosegue Socrate, deve esistere almeno un oggetto che è amato da alcuni Dei ma odiato da altri. Di nuovo Eutifrone assente. Socrate poi conclude che, se la definizione di pietà data da Eutifrone è vera, allora dovrebbe esistere almeno un oggetto che è allo stesso tempo sia pio che empio (giacché è amato da alcuni Dei, ma odiato da altri) - il che, ammette Eutifrone, è assurdo.

Questo modo di procedere nel ragionamento, partendo da una tesi, cercare di trovarne le contraddizioni interne, è tipico della dialettica socratica, e si chiama maieutica.

Lo stesso argomento è trattato da Aristotele, ne I topici (sillogismi) e negli Analitici primi (struttura dei sillogismi) e secondi.

Arthur Schopenhauer ha osservato che la logica ricerca la verità, ma la dialettica si interessa solo del discorso. L'unica dialettica veramente importante è dunque la dialettica eristica, ossia l'arte di ottenere ragione. Secondo Schopenhauer è più importante vincere la battaglia verbale, specie davanti ad un pubblico, piuttosto che dimostrare di aver ragione. Questo perché il pubblico potrebbe non essere interessato alla verità dell'argomento, ma solo allo scontro verbale, e quindi non avere la pazienza o la preparazione necessaria a seguire la dimostrazione. Per ottenere ragione, e vincere lo scontro, è dunque lecito utilizzare ogni argomento a favore.

Nel mio mondo la dialettica ha poco rilievo all'apparenza, ma in realtà è parte integrante del mio dialogare con i miei colleghi sul lavoro ad esempio piuttosto che nel dialogare con gli amici sui più svariati temi. È si un'arte sapere districarsi per volere la ragione se è questo il nostro scopo. Si può anche adottare nella dialettica un metodo che ci permetta di uscirne da "vincitori" pur dovendo accettare la tesi opposta del nostro interloqutore. La dialettica è finalizzata al raggiungimento di una verità condivisa dai partecipanti a una discussione mediante un gioco di domande e risposte, e in tal senso essa si distingue dall'eristica, che è l'abilità di prevalere nelle contese verbali. Spesso si adotta la seconda abilità ma non avendo un vocabolo appropriato si passa all'arroganza o all'ira per impressionare l'altro che sentendosi accerchiato dalle domande o allusioni provocatorie lascia il terreno dello scontro (ormai degenerato), lasciando la ragione. In tal senso essa si distingue dall'eristica, che è l'abilità di prevalere nelle contese verbali. Io preferisco di gran lunga la dialettica all'eristica, anche se a volte è necessaria la seconda per prevalere sugli arroganti convinti di soprafarre con la prepotenza. L'unica dialettica veramente importante è dunque la dialettica eristica, ossia l'arte di ottenere ragione nel caso di una contesa verbale, specie davanti ad un pubblico, piuttosto che dimostrare di aver ragione. Chi disputa non lotta per la verità ma per imporre la propria tesi. Il fine della dialettica è di tipo pratico e non teoretico. Distinta dalla logica naturale, la dialettica naturale può diventare oggetto di addestramento attraverso l’esercizio. Per concludere la mia breve analisi sulla dialettica ho appreso due diversi concetti di essa. La prima quella platonica che ha come scopo finale la ricerca di una verità in comune, e la seconda più attuale specie nel mondo attuale fatto di dispute e lotte, che è quella di Schpoenhauer chiamata "dialettica eristica" come arte di disputare in modo da ottenere ragione con mezzi leciti e illeciti. La mia terza forma di dialettica è di stampo buonistico e incline alla tesi platonica, piuttosto che all'eristica. La dialettica, nell’ottica di Schopenhauer, sta nel mezzo tra logica e sofistica. Per me invece conta condurre il discorso oltrepassando la propria opinione e seguendo il ragionamento esposto ricercare la verità più probabile. Ma ciò richiede doti poco comuni degli interlocutori quali il rispetto, la pazienza e sopratutto il dono verso il bello e l'armonioso oggetto chiamato l'amore verso la dottrina della conoscenza.  

La propria realtà

20/04/2007

È definita come ben sappiamo dall'ambiente e dalla cultura, che determina sia i nostri costumi come anche le nostre credenze, superstizioni e morale. Si distingue (la realtà) da molti aggettivi come virtuale, contemporanea, sociale ecc..Se noi la intendiamo interiorizzare la chiameremo "spiritualità" e tutto il resto è parte del nostro mondo razionale che dall'epoca rinascimentale tramite la scienza determina lo stato delle cose, i mecchanismi e le leggi che cinque secoli di progresso hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere. Abbiamo acquisito molte capacità tramite il progresso e di questo ne siamo grati a tutta l'evoluzione della technica. È un percorso senza ritorno quello iniziato che determinerà il nostro futuro in ogni senso. La scienza empirica è stata di grande aiuto, non ponendo le proprie verità come assolute ma dei passi per avvicinarsi ad esse. In principio viene esposta una ipotesi di ricerca a cui seguono degli esperimenti che contengono tale teoria. Se gli esperimenti avranno un esito positivo confermeranno l'ipotesi che non avrà un valore definitivo, dato che ogni risultato potrebbe essere frutto del caso. Si cercheranno più avanti delle conferme e nuovi esperimenti che validino tale ipotesi ecc.. Ogni scienza empirica è basata su questo processo di principio chiamato anche "trial and error" ovvero processo di "esperimento ed errore" . Viviamo in una epoca dominata dal progresso della conoscenza sviluppatasi secondo il principio sopra enunciato. Niente potrà ritenersi definitivo, fintanto che nuove ipotesi contraddiranno quelle ormai superate e scarsamente utili. Sapere che la terra gira come gli altri pianeti intorno al sole può semprare una certezza nel nostro universo, ma questo non esclude altre realtà a noi sconosciute. In tutto questo mondo e realtà intorno come e dove collocare la propria realtà? Vi è paradossalmente sia bisogno di materializzare come anche spiritualizzare le nostre menti. Ognuno può scegliere al proprio gusto o preparazione, meta e aspirazione o semplicemente superficialità in quale direzione orientarsi. Vivere eticamente lontani dal progresso è impossibile e pericoloso, mentre vegetare nel materialismo è più comodo e producente per le menti poco raffinate e rassegnate dai propri limiti non riconosciuti ma sostituiti dal mantello dell'ipocresia dell'apparire.

Platone si serve del celeberrimo mito della caverna,forse il più famoso mito platonico,dove emerge tutta la sua filosofia:

Descrive una caverna profonda stretta ed in pendenza,simile ad un vicolo cieco.Sul fondo ci sono gli uomini,che sono nati e hanno sempre vissuto lì; essi sono seduti ed incatenati,rivolti verso la parete della caverna: non possono liberarsi nè uscire nè vedere quel che succede all'esterno. Fuori dalla caverna vi è un mondo normalissimo: piante, alberi, laghi, il sole, le stelle... Però prima di tutto questo, proprio all'entrata della caverna, c'è un muro dietro il quale ci sono persone che portano oggetti sulla testa: da dietro il muro spuntano solo gli oggetti che trasportano e non le persone: è un pò come il teatro dei burattini,come afferma Platone stesso. Poi c'è un gran fuoco, che fornisce un'illuminazione differente rispetto a quella del sole. Questa è l'immagine di cui si serve Platone per descrivere la nostra situazione e per comprendere occorre osservare una proporzione di tipo A : B = B : C La caverna sta al mondo esterno (i fiori,gli alberi...) così come nella realtà il mondo esterno sta al mondo delle idee: nell'immagine il mondo esterno rappresenta però quello ideale tant'è che le cose riflesse nel lago rappresentano i numeri e non le immagini empiriche riflesse. Si vuole illustrare la differenza di vita nel mondo sensibile rispetto a quella nel mondo intellegibile. Noi siamo come questi uomini nella caverna, costretti a fissare lo sguardo sul fondo, che svolge la funzioni di schermo: su di esso si proiettano le immagini degli oggetti portati dietro il muro. La luce del fuoco, meno potente di quella solare, illumina e proietta questo mondo semi-vero. Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per verità, così come le voci degli uomini dietro il muro: in realtà è solo l'eco delle voci reali. Gli uomini della caverna avranno un sapere basato su immagini e passeranno il tempo a misurarsi a chi è più bravo nel cogliere le ombre riflesse, nell'indovinare quale sarà la sequenza: è l'unica forma di sapere a loro disposizione ed il più bravo sarà colui il quale riuscirà a riconoscere tutte le ombre.

Molte persone hanno paura di cambiare. Lo so perché anch'io l'ho avuta. Ho dovuto lasciare andare qualcosa che mi era familiare in cambio di qualcosa che mi era sconosciuto. Infine ho deciso di non dare niente per scontato di ciò che appare essendo sempre soggettivo all'occhio di chi osserva. Rimanere rinchiusi nella caverna, seguendo la metafora di Platone è abberrante, e ci priva da quel mondo sensibile per noi già limitato per ovvie ragioni fisiologiche. Spetta al nostro intelletto superare questa barriera tramite la conoscenza e la riflessione. Vorrei sottolineare che non siamo più solo spettatori attoniti delle rappresentazioni del mondo, come era normale in epoche passate quando la cultura era riservata a pochi prediletti e in possesso sia di molto tempo e denaro per dedicarsi allo studio. Oggi siamo spettatori attivi, componenti di un ambiente che solo ora si è disposti a comprendere in tutta la sua complessità. La mia diventa la nostra realtà e i segnali di una mutazione culturale e antropologica che corrisponde ad un'espansione della coscienza evolutiva sono disponibili. Utilizziamo tutti i mezzi disponibili offerti dall'epoca in cui viviamo per seguire ciò che J. Krishnamurti disse:

"Gli insegnamenti sono importanti di per sè, commentatori e interpreti possono solo distorcerli. E' consigliabile andare direttamente alla fonte, agli insegnamenti stessi, senza passare attraverso nessuna autorità."

Solo così agendo la propria realtà avrà valore.

Perché il mondo?

12/03/2007

Che cosa c'era prima? Prima del big bang o del "principio" biblico? La mitologia classica narra di un cosidetto "brodo primordiale", di oscurità e caos infinito. Nel corso di milliardi di anni quel disordine, acquista un'ordine. Ed è in questo passaggio attraverso l'origine che si spendono i perché della scienza e della fede. Democrito, il lontano padre del pensiero scientifico, sostiene la casualità dell'universo; gli atomi della materia, secondo i suoi studi, si mescolano senza guida e senza scopo. Platone, invece, è il filosofo greco che anticipa la nozione giudaico-cristiana di "creazione". Per lui si deve ricondurre il mondo a una causa, alla mano di un artefice intelligente. Io dividerei il quesito in due affermazioni:

Il mondo esiste per una causa

Il mondo materiale non basta a spiegare l'origine del mondo, afferma Platone. "L'universo - sostiene - è stato realizzato da un Artefice con ragione e intelligenza", è il risultato di un progetto e di un'azione. Il cosmo , infatti, si fonda su una causa che è rappresentata dal Demiurgo, la figura divina che ha sostituito il caos con l'ordine scegliendo il modello del "vivente in sé". Il mondo si presenta quindi come un organismo gigante, dotato di un'anima e di un corpo.

Il mondo esiste per caso

Democrito, discepolo di Leucippo, il fondatore del primo atomismo, viene considerato il padre della scienza. Nelle pagine del suo Piccolo ordinamento del mondo descrive la materia: un insieme di atomi che si aggregano e si disgregano seguendo la legge della casualità. Le varie "forme indivisibili" si muovono spontaneamente incontrandosi e scontrandosi in una vibrazione eterna, da cui si sviluppano quei vortici che generano le cose, anch'esse destinate a scindersi e a distruggersi.

Ho estratto queste affermazioni da due dei padri della nostra filosofia occidentale, per dare inizio alla mia tesi che non vuole essere originale, unica, assoluta ma essenzialmente basata su dei semplici ragionamenti di essere pensatore. Questo universo esiste perchè esiste l'uomo con un suo unico divino creatore, oppure è la casualità che lo regge? Se lo è la casualità non siamo noi uomini i destinatari dell'ordine e della bellezza di tutto ciò che è esistente. Siamo in questo caso un aggragato di atomi e nient'altro. Il macrocosmo è per noi esseri limitati in minima parte conosciuto, noi nel insieme del tutto ciò che esiste ne siamo un microcosmo o figli del caso. L'universo è stato creato perchè esiste l'uomo? Secondo Platone il destinatario ti tutto l'universo è l'uomo. Secondo la visione biblica - dominata dall'antropocentrismo "(dal greco ?????p??, anthropos, "uomo, essere umano", ???t???, kentron, "centro") è la tendenza - che può essere propria di una teoria, di una religione o di una semplice opinione - a considerare l'uomo, e tutto ciò che gli è proprio, come centrale nell'Universo." e, in parte anticipata da Platone, - l'universo è stato creato in modo che l'uomo potesse approdarvi, prendere posto e ammirare la bellezza degli spettacoli naturali, emozionarsi. Gli scienziati sostenitori del "principio antropico" (ogni teoria valida dell'universo deve essere consistente con la nostra esistenza) parlano di evoluzione interna della materia, di un'intelligenza ordinatrice che guida l'universo verso l'apparizione della coscienza, della mente umana. Io credo pur essendo un grande estimatore di Platone e in genere della scienza, in nessuna delle due ipotesi. Perchè dovremmo considerarci sempre al centro di tutto? Solo perchè abbiamo una mente per pensare ed avendo formulato infinite teorie, ci prendiamo il diritto di considerarle giuste. Quand'è che riconosciamo i nostri limiti di infinitamente piccoli quali noi siamo?

Ecosofia

Qui faccio ancora uso di un termine enunciato dal filosofo Arne Næss all’università di Oslo nel 1960. Secondo cui il fondamento del movimento di Ecologia Profonda, che invita ad un rovesciamento della prospettiva antropocentrica: l’uomo non si colloca alla sommità della gerarchia dei viventi, ma si inserisce al contrario nell’ecosfera; l’uomo è una parte nel Tutto. È questa a mio avviso la visione più giusta. Si può filosofare all'infinito senza arrivare a delle conclusioni, ma essendo io di natura agnostico ritengo di essere più vicono alla realtà. Sarebbe da chiedersi a dove porta chiedersi il perchè del mondo e di tutto ciò che lo circonda. Abbiamo semplicemente un compito o dovere da compiere nella nostra vita, al di là delle nostre aspirazioni, sogni, idee ed'altro, ed è quello di mantenere il nostro ordine nell'equilibrio già collaudato da madre natura, ossia riprodurci e utlizzare i nostri sforzi affinchè i nostri figli possano fare lo stesso. Senza timori o sensi di inferirità nell'affermare i nostri limiti, possiamo al massimo controllare la natura fintanto che essa ce lo permetta, ma poi inevitabilmente rientrerà l'ordine supremo dato dal suo equilibrio.

Il tempo solo denaro?

17/02/2007

(Oppure su come riflettere sul valore della lentezza)

Perchè è scomparso il piacere della lentezza, mi chiedo. Schiacciati dai ritmi frenetici della vita quotidiana, in cui non solo non troviamo il tempo per gli altri ma raramente per noi stessi. Imbevuti di ossessività da consumo, idee, riflessioni o paesaggi sembrano un ricordo ormai perso. La lentezza sembra essere un concetto inattuale come la morte da evitare costi quel che costi. La creazione artistica di scritture, musiche, o la contemplazione estetica o se vogliamo il dialogo con un Dio o ancora l'ascolto del prossimo. Questo lusso chiamato tempo da definire senza pudore passato all'oblio, io rivendico con queste mie frasi scritte dal mio angolo di vita anonimo ma che io posso permettermi. Io mi ribello a simili tirannie. Tento ogni giorni di ritagliarmi almeno tre ore di senso autentico del tempo, per godere fino in fondo di quella dimensione dell'animo di cui parlava Sant'Agostino e in virtù della quale il presente, che rapidamente si trasforma in futuro, lascia molte traccie dentro di me. La migliore complice come per molte altre vicende è la natura, di cui non potrò mai non sentirmi complice e schiavo di essa. È lei che guida i nostri più remoti istinti, senza che noi consapevolizziamo questo suo schema. Non siamo noi il centro dell'universo, non esiste una divina provvidenza che sentenzia ogni nostro agire, ma semplicemente noi e gli altri confrontati con l'ambiente e le sue trasformazioni. Cosa spinge, io domando a chi legge, la gente a correre a perdifiato, smarrendosi nel vuoto di un tempo accelerato? Cosa mi fa sentire felice? Le cose che io acquisto o il loro utilizzo? Dovrebbe esserne l'utilizzo banalmente riponderei. Ebbene cos`è che mi spinge a sostituire cose nuove con altre nuovissime? Non era forse l'utilizzo di quei beni lo scopo? Cosa hanno le cose o i miei progetti di potere per raggiungere mete sempre più alte di acquisto, di così importante da estinguerne l'uso permamente, intelligente e duraturo. È sicuramente l'uso che mi permette di ritenermi soddisfatto piuttosto che l'azione di guadagno. Se io accumulo sempre più denaro, avrò investito gran parte del mio tempo in questa opera. Essa consiste oltre all'impegno una dedizione totale di focalizzare tutte le mie energie per il raggiungimento di tale scopo. Ecco spiegato "il tempo è denaro". I bambini ancora possiedono l'istinto di attività per noi da "perditempo". Come il seguire un'ape da un fiore all'altro, il formarsi di una colonia di formiche che assaltano un pezzo di pane oppure il costruire delle minicitta con il lego o tutto ciò che hanno a disposizione. Ma ecco che interveniamo noi adulti con l'insegnamento che solo con l'impegno di attività "importanti" essi avranno un futuro assicurato. Ultimamente leggendo un bel libro divertente sulle nuvole siamo usciti in un grande prato al lato di un bosco circondato da molte colline. Abbiamo così contemplato il cielo che nonostante fosse una giornata soleggiata, veniva disegnato da vari solchi di nuvole di varie forme e dimensioni. Esse (le nuvole) formano sulla base di molti fattori climatici quali l'umidità, la pressione il vento e la temperatura le più svariate forme. In esse si possono riconoscere delle sagome che la nostra fantasia ci detta. Dal lato razionale abbiamo poi esaminato il significato del cielo che si presentava ai nostri occhi, deducendone che la serata sarebbe stata ugualmente mite e piacevole. In serata poi con una mappa disegnata su di una sfera di plastica che rappresentava l'intera costellazione celeste, scrutando attentamente abbiamo intravisto la costellazione di orione ed'altre figure create da molte infinite stelle. Ecco il tutto cia ha rubato qualche ora del nostro "tempo denaro", ma ad'un ritmo lento che per l'intensità dell'interesse da parte dei miei figli è sembrato un'istante.

Credo che oggi la gente non sia più in grado di stare con se stessa, malsopportando i tempi vuoti, le pause, i silenzi. Abbiamo (io no) le agente strapiene di appuntamenti in modo da arrivare in fondo alla settimana senza avere mai avuto l'occasione di trovarsi faccia a faccia con il propio io. Questa filosofia della lentezza è sul punto di estinguersi, poichè il mondo contemporaneo non ammette i tempi vuoti, l'inattività! Vi sono molti ladri di tempo, che imponendoci ritmi di vita forsennati, ma anche quei ritardatari che, all'opposto, ci fanno rimandare la realizzazione dei nostri piani.

Accorgimenti per adottare uno stile di vita più lento, più umano:

1) Soforzarsi di essere più allegri e gentili in casa, sul lavoro o in genere in società.

2) Mostrare disponibilità

3) Dare informazioni, consigli a chi ce li chiede

4) Ascoltare gli altri

5) Nei tempi "vuoti" fermarsi per contemplare o riflettere su cose che alimentano lo spirito

6) Conseguire un'attività sportiva che impegni si il nostro fisico ma anche ci dia evasione

7) Fermarsi ad'ascoltare in casa della musica che sublimi il nostro gusto

8) Fare tutto ciò che per l'intensità, ci ferma il tempo per quanta passione ci procura

Vivere con lentezza, dunque significa innanzitutto aprirci agli altri, ma anche contemplare la bellezza di opere d'arte o di musica del passato ormai dimenticate. La bellezza è un valore che si può comprendere solo con la lentezza e calma, che è sempre stata prerogativa della cultura e dello stile di vita mediterraneo o per esempi di molte culture non influenzate dalla modernità. Anche nel mangiare possiamo adottare questo stile di lentezza, passando a tavola con la nostra famiglia o amici ore intense di piacere culinare e di compagnia. È questa ancora una delle ultime ricchezze rimaste all'uomo.

L'Età dell'idealismo (Formazione e lavoro) 

01/02/2007

Promotore di queste tesi sul principio pratico e non morale dell'esistenza fu "Georg Wilhem Friedrich Hegel" (1770 - 1831). Durante l'epoca Napoleonica, il congresso di Vienna sopratutto in Germania si afferma L'Età dell'idealismo. Dopo la caduta degli ideali della rivoluzione francese, delle idee illuministe in seguito, portano a un rifiuto in blocco di questi ideali superati. Nell'Illuminismo si esaltano le forze istintive e irrazionali dell'uomo (Goethe, Schiller). In quest'epoca di "Sturm und Drang" che si manifestò in Germania sotto forma di romanticismo vero e propio. Il romantico sente di avere perso la propia unità con la natura, provando un sentimento di nostalgia per essa e tende a riconquistarla mettendoci slancio e passione oltre a genialità. È in questo periodo che arte e religione vengono esaltate come non accadeva da secoli. È in questo frammento di storia (1700 - 1850) che si forma l'età dell'idealismo. L'idealismo è la filosofia che meglio esprime la sensibilità romantica. Promotori e principali rappresentanti sono Fichte, Hegel e Schilling. Senza approfondire oltre il tema sull'Idealismo vengo al punto che vuole condurre il mio pensiero iniziale. Ovvero quanto valore hanno la formazione e il lavoro oltre che per la società con le sue trasformazioni, per noi stessi individui? Hegel approfondisce in parcolar modo le tesi di Kant e in particolar modo la sua riflessione su morale e religione. Celebre la sua frase scritta in una lettera "con un impiego e una donna si ha tutto in questo mondo". L'uomo non è altro che la serie delle sue azioni disse Hegel in una delle sue frasi famose. Io aggiungo, che tramite la formazione l'uomo raggiunge i suoi obbiettivi non solo professionali. È questa l'incomprensione che regna nel sistema scolastico in Svizzera della quale posso parlare per esperienza diretta. L'impiego o lavoro è si al centro dell'esistenza ma non deve divenire l'unica risorsa cosciente. Vi sono dunque diversi livelli della coscienza. Un primo livello coglie la vita là dove essa è, nell'io. Un secondo livello coglie anch'esso la vita là dove essa è, ma la concepisce - al di fuori di una esperienza reale in un vivente, il soggetto pensante. Ecco la vera formazione inizia dalla propia e spontanea volontà di ampliare il secondo livello di coscienza, che consiste nell'apprendimento del pensare. Pensare con le propie idee, realizzando una propia volontà di pensiero. L'opposto di ciò che oggi l'uomo moderno segue. In questa mia eretica valutazione sul divenire della coscienza in decadenza del genere umano io colgo molti lumi di speranza tramite l'intera massa di pensiero generatosi attraverso i secoli da tutti i grandi pensatori scientifici, filosofici ed'altre arti di pensiero. Cosa può darci la formazione odierna oltre alla carriera lavorativa, oltre alla selezione artificiosa dettata dalle propie origini o colore della pelle, che determinano il grado sociale?. Tutta qua la formazione? È nell'espressione poetica che mitologica che io vorrei in contrasto con il mondo virtuale cogliere le delizie più sottili e gioiose di vera felicità. La mia formazione a scopo lavorativo altro non è stato che un mezzo, per avere tempo e tranquillità sufficente per dedicarmi allo studio dell'inesplorato dalla mia mente.

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